venerdì 22 ottobre 2010

Premio Nobel a… Betty Suarez (alias “Ugly Betty”)

“Oggi le donne non hanno dignità”. L’ho sentito dire sabato scorso dalla bocca di un famoso giornalista d’inchiesta italiano.
Si riferiva in particolare a quelle donne che pur di raggiungere certi obiettivi – in primis il potere – sono disposte non solo a vendersi a qualsivoglia prezzo ma soprattutto a farsi assoggettare volutamente dal sesso maschile. Pienamente consenzienti e assolutamente convinte del  “valore” dei propri scopi.
Ma non solo. Anche a quelle che non battono ciglio di fronte a quest’evidenza e che si ostinano a far di tutto per piacere agli uomini. Nella vita privata (cosa che accade fin dalle origini del mondo), lavorativa e pubblica (oggi in modo sempre più spregiudicato).

D’accordo, le “lotte” femministe di questi ultimi anni sembrano essere finalizzate più alla valorizzazione della quantità - quote rosa e ammontare dello stipendio - che della qualità - doti intellettive, capacità organizzative e gestionali.
Ma almeno ci si prova... A parole.
Finite le conferenze, gli incontri, i dibattiti televisivi ognuna si rifugia nella propria casa, nel proprio lavoro. Si va dal dietologo per ritornare in forma smagliante; si va a fare shopping per trovare l’abito che faccia risaltare al meglio le proprie curve; si va dall’estetista per eliminare le imperfezioni della pelle e illuminare lo sguardo; si va in palestra per tonificare e rassodare i lati A, B, C… Perché? Certo, per il 50% lo facciamo per noi stesse, per il nostro benessere interiore, per la nostra salute psico-fisica. E per il restante 50%?

Betty Suarez, protagonista della serie tv “Ugly Betty”, è una giovane donna che non si cura affatto del proprio aspetto fisico. Anzi, benché venga quotidianamente derisa e sbeffeggiata dalle colleghe di lavoro, non cerca per niente di cambiare. Non sarebbe più se stessa.
È stata assunta come assistente personale del redattore capo della rivista Mode, Daniel Meade. Inizialmente per volere del padre di Daniel (e dell'intento comico della serie), il magnate editoriale Bradford, per distogliere il figlio sciupafemmine dall’istinto di portarsela a letto. Successivamente notata e confermata dallo stesso Daniel per la sua ingegnosità. Ruolo che le magrissime, truccatissime e griffatissime colleghe le invidiano. Dal profondo del cuore e delle viscere.

Poco tempo fa ho visto in tv il film d’esordio del regista Volfango De Biasi, “Come tu mi vuoi”, uscito nelle sale italiane nel 2007. Giada (Cristiana Capotondi), una studentessa universitaria modello, vuole diventare l’assistente del professore di Sociologia dei Media. Ma i suoi occhialoni, i suoi brufoli, i suoi vestiti fuori moda non glielo permettono. Ci riuscirà solamente dopo essere diventata più carina (inizialmente per piacere al suo compagno di corso Riccardo, interpretato da Nicolas Vaporidis): trattamenti estetici, nuova pettinatura, abiti più succinti.
Alla fine del film mi sono messa le mani nei capelli. Non per la banalità. Per l’umiliazione.

Forse ci sbagliamo tutti. Forse i nostri occhi sono stati abituati a vedere solo un certo spaccato di realtà “al femminile”: quello più patinato, più superficiale.
Le eccezioni esistono per ogni regola. E di donne eccezionali ne esistono tante. Belle e brutte. Basta abituare i nostri occhi a vederle.

È per questo che voglio candidare Betty Suarez al Premio Nobel.
Per la pace? Per la letteratura? Per la medicina?
No. Per la “donna ideale”.

Nessun commento:

Posta un commento