domenica 10 ottobre 2010

Il profeta della musica mediatizzata. Lo avevate riconosciuto?

Parola d’ordine: perfezione. Non raggiungibile davanti ad una platea in ascolto, ma solamente attraverso calcolate operazioni di montaggio.
Glenn Gould ne era convinto, tanto da decidere di abbandonare il palco - all’apice del successo - a soli trentuno anni.
   
Nato a Toronto nel 1932, studiò pianoforte dapprima con la madre e successivamente al Conservatorio della sua città natale, dove - ancora giovanissimo - riportò i più alti voti mai conseguiti in Canada.

Non amava suonare. Amava interpretare. “A volte mi domando perché ci preoccupiamo così tanto di una pretesa fedeltà alla tradizione della generazione del compositore piuttosto che a quella dell'interprete”.
Ecco la sua rivoluzione copernicana: non è il tempo dell’autore a dettare le regole del gioco, ma il tempo dell’esecutore.

Non amava l’aria respirata nei teatri. Amava quella delle sale d’incisione e degli studi radiotelevisivi. Inseguiva quindi quella perfezione tanto ambita mediante quello che potrebbe sembrare il più sleale dei mezzi, il refugium peccatorum dei mediocri: il montaggio. Glenn Gould però lo considerava una “forma d’arte autonoma” che aveva un grande vantaggio sul concerto dal vivo: quello di offrire sia all’interprete che all’ascoltatore l’esecuzione musicale ideale. Racconta il suo produttore Thomas Frost che “egli pretendeva di suonare e di registrare solamente se erano date le condizioni a suo avviso ottimali: soltanto con il suo pianoforte e soltanto - escluse naturalmente le incisioni con orchestra - quando si sentiva spiritualmente pronto a interpretare qualcosa per il proprio piacere”.
Ecco l’essenza della sua profezia: “la tecnologia non dovrebbe esser trattata come qualcosa di neutro, come una sorta di voyeur passivo; le sue capacità di “scorticamento”, d’analisi e soprattutto di idealizzare un’impressione data devono essere sfruttate [...] Ho fede nell’intrusione della tecnologia giacché, per essenza, tale intrusione impone all'arte una dimensione morale che trascenda l’idea d’arte stessa”.

La sua morte, avvenuta nel 1982, ha dato i natali al suo mito: le opere omnia, le ristampe, i film, le interviste, gli scritti, i libri, le società postume addette a soddisfare il feticismo delle schiere di adoratori, sono un’industria che non sembra conoscere crisi.

“E' abbastanza raro che un pianista diventi un’icona come James Dean. Glenn Gould ci è riuscito.”




Per ascoltare la colonna sonora della discussione della mia tesi di laurea: Glenn Gould suona le Variazioni Goldberg di Bach .
Per conoscerlo meglio: Glenn Gould - sito ufficiale .
Per amarlo.

1 commento:

  1. Neppure i "più grandi" alle volte ci azzeccano !
    La sua profezia non si è avverata, anzi mi sembra stia avvenendo tutto il contrario: con la crisi della discografia di cui tanto si parla stanno spopolando in maniera incredibile i tour, i concerti negli auditorium, nei campi sportivi, nei palazzetti dello sport e chi più ne ha più ne metta... ma quel che importa è che fanno sempre il tutto esaurito, perchè l'importante non è tanto la perfezione dell'esecuzione ma le sensazioni e le emozioni che il proprio idolo, le sue canzoni, le luci del palco, il movimento convulso dei fan, la condivisione di passioni con migliaia di altre persone riescono a darti. ... e poi arrivano i dischi d'oro ... i dischi di platino!
    Probabilmente sarà proprio il concerto dal vivo a risollevare le sorti della discografia italiana! Alla faccia!

    Micky

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