domenica 23 gennaio 2011

Siamo immondizia

Una cartaccia che vola dal finestrino di una lussuosa auto in corsa. Un’immagine che purtroppo non sono riuscita ad immortalare - per testimoniare l’ignoranza di un'umanità immonda - ma che mi torna in mente ogni volta che cammino in campagna, lontano dal caos cittadino. Un’immagine che ahimè si materializza ad ogni passo in una incredibile varietà di oggetti che giacciono sul ciglio della strada, nelle tranquille acque dei fossati, sull’erba dei campi, offendendo e deridendo Madre Natura.

Nel giro di 2 chilometri di viuzze immerse nel verde di uno sconosciuto paesino veneto, non si riescono a contare tutti quei “cadaveri” - di plastica, di carta, di alluminio, di polistirolo ecc. - che danno fastidio non solo alla vista, ma soprattutto al cuore. Ed è spontaneo pensare alla mano di chi li ha gettati per terra volontariamente, cercando di dargli un volto, cercando di capire il perché di un simile gesto. Disgustoso e immotivato.

Il volto di chi ha fumato.



Il volto di chi ha mangiato caramelle.



Il volto di chi ha ricaricato il cellulare.


Il volto di chi ha fatto merenda.



Il volto di chi ha bevuto.








Il volto di chi ha pranzato.




Il volto di chi si è soffiato il naso.


Il volto di chi ha mangiato una banana.


Il volto di chi la banana non l'ha mangiata.


Il volto di chi è ammalato.



Il volto di chi è sfortunato al gioco.


Il volto di chi ha lavato i vetri.


Il volto di chi ha fatto l’amore.


Il volto di una donna con il ciclo mestruale.


Il volto di chi abbandona sacchetti vuoti.



Il volto di chi “lancia” sacchetti pieni.


Il volto di chi ha comprato un decoder.


Il volto di chi ha trovato una sorpresina nell’ovetto.


Se, come disse Aristotele, “noi siamo ciò che facciamo ripetutamente”… beh, siamo proprio immondizia.

mercoledì 5 gennaio 2011

L’Urlo della Terra. Trattore e aratro al posto dei pennelli


Si può urlare anche restando in silenzio. Come ha fatto Dario Gambarin, che in sella al suo trattore ha dipinto il famoso Urlo di Munch su un terreno di 50.000 metri quadrati. L’opera di land art è stata realizzata dall’artista veronese lo scorso novembre nella campagna di Castagnaro, in provincia di Verona.

«Il mio è un grido non solo di angoscia, come era quello del pittore norvegese, ma anche di allarme: salviamoci, fino a che siamo in tempo». Gambarin spiega così il suo atto di protesta pacifico contro il dissesto idrogeologico del territorio che ha portato al recente alluvione in Veneto. «Non si può tradire la terra perché è come tradire noi stessi e la nostra vita, ogni forma di vita. Il territorio va protetto, difeso, pensando al futuro, alle generazioni che verranno». L’Urlo di Gambarin, dipinto “a ruota libera” con l’aratro al posto del pennello, è ben visibile dall’alto; dallo stesso cielo che non ha dato tregua agli alluvionati nemmeno il giorno di Natale.

Usando la terra al posto della tela, nel 2010 l’artista veneto ha voluto interpretare a modo suo anche altri avvenimenti dell’anno, come la vincita morale di Nelson Mandela ai mondiali di calcio e i sofferti colloqui di pace tra israeliani e palestinesi spinti dagli Stati Uniti.



Mandela Winner, spiega Gambarin, «è un omaggio al leader sudafricano che considero il vincitore morale di questi mondiali di calcio. Ho grande rispetto per Mandela e per la sua lotta per i diritti dell’uomo».


«Se non c’è pace si rischia la morte». Pax on Earth - oltre ad essere il titolo dell’opera - è la scritta in latino e inglese che campeggia al centro del terreno dipinto dall’aratro. Un augurio “terreno” di pace tra una menorah (il candelabro a sette braccia simbolo ebraico per eccellenza), un cristogramma (una grande P intersecata da una X che rappresenta il monogramma di Cristo) e la mezzaluna con a fianco una stella (in cui si riconoscono i Paesi a maggioranza musulmana).

«L’arte è un’avventura dello spirito, del pensiero e dell’immaginazione creativa. Solo chi ha il coraggio di affrontare questo viaggio con libera volontà, assumendosi il rischio della propria integrità, può esplorare queste sfaccettate realtà».
Questo è il manifesto artistico di Dario Gambarin. L’arte né politicizzata né fine a se stessa. Ma terrena e UMANA.