venerdì 29 ottobre 2010

Non hai facebook?!?!?

Ormai sta diventando una domanda angosciante per chi non è iscritto al social network più conosciuto e discusso al mondo. Soprattutto per chi è coetaneo di quel popolo “non eletto” di utenti facebook che ha tra i 18 e i 34 anni (fascia d’età che attualmente comprende il 53% degli iscritti in Italia). “Non eletto” perché non esistono barriere all’entrata: chiunque può decidere di farne parte. Ed è molto facile.

Innumerevoli sondaggi, indagini, saggi di sociologia dei media, lezioni universitarie, servizi televisivi, articoli di giornale, film (…) quotidianamente parlano di questo fenomeno in continua evoluzione ed espansione. Cercano di capire cosa spinge le persone ad utilizzarlo e come questo comporti una trasformazione sempre più virtuale delle relazioni sociali. Io aggiungerei: sempre più incontrollabile (al contrario di molte tesi sulla violazione della privacy e l’appropriazione indebita di “tracce” personali).

Ma proviamo per una volta a metterci nei panni di chi non lo usa. Perché stanno diventando loro delle mosche bianche?
C’è chi lo apprezza perché è una rete efficace di comunicazione, perché è uno «strumento molto usato e quindi utile, che permette di essere in contatto con molta gente». Ma non si è ancora registrato. Come Alessandra (26 anni, Vicenza) che mi ha rivelato i suoi dubbi: «Ho pensato molte volte di iscrivermi, ci sono parecchie persone che conosco - ma che vedo poco - che usano facebook… Spesso mi chiedo se vale davvero, se rimane solo un supporto per una comunicazione “di quantità” oppure se possa rivelarsi anche uno strumento “di qualità”».
Per chi considera i rapporti umani come relazioni genuine fondate su un interscambio di valori, idee ed esperienze in comune, è difficile accettare che qualcuno gli richieda la propria “amicizia” solo per accrescere il numero dei contatti o per mettere il naso nelle proprie faccende. Continua Alessandra: «So che ci sono varie possibilità di privacy e diverse modalità con cui ci si può far vedere, ma al momento non mi sono ancora convinta!».
C’è anche chi esprime un profondo scetticismo perché ha paura di perdere addirittura la propria libertà. Come Jlenia (33 anni, Lecce): «Facebook mi sembra un’autorizzata invasione mascherata nella propria vita e in quella altrui! Si è controllati e controllori! Tutta questa attenzione, mi caricherebbe troppo d'ansia...».
Non solo. Anche il mezzo usato, e cioè la scrittura “digitale”, potrebbe portare a spiacevoli incomprensioni. Continua Jlenia: «Si deve prestare sempre estrema attenzione a ciò che si scrive. Chi ti conosce bene interpreta correttamente il tuo pensiero. Ma i “conoscenti” (la maggioranza delle amicizie su fb) travisano».
Ma esiste anche chi, come Marco (30 anni, Roma) soffre di una curiosa forma di “voyeurismo facebookiano”. Non usa quasi mai internet, ma quando va a casa della propria fidanzata adora guardare le foto pubblicate sul profilo di lei e su quello dei suoi contatti. E leggere quello che fanno e che scrivono. E scoprire gli amici degli amici in comune. E ridere.

É quindi impossibile negare il fascino che esercita su tutti (amici e nemici) l’invenzione che sta segnando profondamente la storia di inizio millennio. Anche se il suo inventore non potrà mai più vivere sonni tranquilli. Un autentico fuoriclassic.

«Sarò una romantica vecchia maniera, ma riesco a gestire la mia comunicazione col mondo anche senza fb! Chiaramente, questa è la mia idea attuale. Non si sa mai…potrei essere illuminata anch'io sulla via di Damasco...!» (Jlenia, 33 anni, Lecce)

venerdì 22 ottobre 2010

Premio Nobel a… Betty Suarez (alias “Ugly Betty”)

“Oggi le donne non hanno dignità”. L’ho sentito dire sabato scorso dalla bocca di un famoso giornalista d’inchiesta italiano.
Si riferiva in particolare a quelle donne che pur di raggiungere certi obiettivi – in primis il potere – sono disposte non solo a vendersi a qualsivoglia prezzo ma soprattutto a farsi assoggettare volutamente dal sesso maschile. Pienamente consenzienti e assolutamente convinte del  “valore” dei propri scopi.
Ma non solo. Anche a quelle che non battono ciglio di fronte a quest’evidenza e che si ostinano a far di tutto per piacere agli uomini. Nella vita privata (cosa che accade fin dalle origini del mondo), lavorativa e pubblica (oggi in modo sempre più spregiudicato).

D’accordo, le “lotte” femministe di questi ultimi anni sembrano essere finalizzate più alla valorizzazione della quantità - quote rosa e ammontare dello stipendio - che della qualità - doti intellettive, capacità organizzative e gestionali.
Ma almeno ci si prova... A parole.
Finite le conferenze, gli incontri, i dibattiti televisivi ognuna si rifugia nella propria casa, nel proprio lavoro. Si va dal dietologo per ritornare in forma smagliante; si va a fare shopping per trovare l’abito che faccia risaltare al meglio le proprie curve; si va dall’estetista per eliminare le imperfezioni della pelle e illuminare lo sguardo; si va in palestra per tonificare e rassodare i lati A, B, C… Perché? Certo, per il 50% lo facciamo per noi stesse, per il nostro benessere interiore, per la nostra salute psico-fisica. E per il restante 50%?

Betty Suarez, protagonista della serie tv “Ugly Betty”, è una giovane donna che non si cura affatto del proprio aspetto fisico. Anzi, benché venga quotidianamente derisa e sbeffeggiata dalle colleghe di lavoro, non cerca per niente di cambiare. Non sarebbe più se stessa.
È stata assunta come assistente personale del redattore capo della rivista Mode, Daniel Meade. Inizialmente per volere del padre di Daniel (e dell'intento comico della serie), il magnate editoriale Bradford, per distogliere il figlio sciupafemmine dall’istinto di portarsela a letto. Successivamente notata e confermata dallo stesso Daniel per la sua ingegnosità. Ruolo che le magrissime, truccatissime e griffatissime colleghe le invidiano. Dal profondo del cuore e delle viscere.

Poco tempo fa ho visto in tv il film d’esordio del regista Volfango De Biasi, “Come tu mi vuoi”, uscito nelle sale italiane nel 2007. Giada (Cristiana Capotondi), una studentessa universitaria modello, vuole diventare l’assistente del professore di Sociologia dei Media. Ma i suoi occhialoni, i suoi brufoli, i suoi vestiti fuori moda non glielo permettono. Ci riuscirà solamente dopo essere diventata più carina (inizialmente per piacere al suo compagno di corso Riccardo, interpretato da Nicolas Vaporidis): trattamenti estetici, nuova pettinatura, abiti più succinti.
Alla fine del film mi sono messa le mani nei capelli. Non per la banalità. Per l’umiliazione.

Forse ci sbagliamo tutti. Forse i nostri occhi sono stati abituati a vedere solo un certo spaccato di realtà “al femminile”: quello più patinato, più superficiale.
Le eccezioni esistono per ogni regola. E di donne eccezionali ne esistono tante. Belle e brutte. Basta abituare i nostri occhi a vederle.

È per questo che voglio candidare Betty Suarez al Premio Nobel.
Per la pace? Per la letteratura? Per la medicina?
No. Per la “donna ideale”.

martedì 19 ottobre 2010

Il suono dell’ombra di una piccola ape furibonda

Il primo novembre prossimo, tra i propri cari santi e defunti, si ricorderà anche la poetessa milanese Alda Merini, ad un anno dalla scomparsa.

«Quella di Alda Merini è stata una vita unica, inimitabile. Capace di cantare la sua discesa agli inferi e il ritorno. E anche la sua morte: poche ore prima di andarsene, con un filo di voce sussurrò alle figlie, schiacciate contro la parete, una strofa di Porta Romana bella».

Così la ricorda Ambrogio Borsani, suo maggior esegeta, nell’opera omnia a lei dedicata.

Voglio proporvi una sua poesia inedita.
Un omaggio ad un’anima senza misura che ha saputo far parlare di sé, ma il cui suono in pochi hanno saputo ascoltare.


LA DERISIONE
di Alda Merini

a P.R.

Io per te sono stata derisa amore
come un cane che tardi e fuori tempo
si fermi presso la casa del suo padrone
e malgrado non volessi che un pezzo di pane
mi hanno dichiarata pezzente
perché mi rigiravo nel tuo ricordo,
il tuo ricordo fatto rimarchevole
a me costava l’ambascia di ogni giorno,
perché sollevava la mia pochezza
fino al Mistero Divino.
Mi costava mille fascine e giambi
ma poi ricordandomi di ogni colore
e che l’arte è fascinazione,
ricordandomi che ti avevo perduto
e poi ricoverato come Cesare
davanti a un tribunale di sogno
mi sono ricreata davanti a te
fantomatica idea
della tua stessa stoltizia
adesso non ho più prati verdi
e nemmeno canzoni.
Cantare l’arte per l’arte
è un puro dilemma.

venerdì 15 ottobre 2010

Schiavo Brothers


Leonardo e Alberto Schiavo
Meglio conosciuti come “i gemei”, erano la mascotte della mia classe del liceo: Alberto e Leonardo, nati 27 anni fa a Montecchio Maggiore, comune del vicentino.
Sempre insieme, sempre vicini, sempre complici.
Simili fisicamente, ma non del tutto identici. Alberto un po’ più alto, Leonardo un po’ più paffuto.
Diversi caratterialmente, ma non del tutto opposti. Alberto più diplomatico, Leonardo più ironico.
Stessa grande passione: la musica. Stesso atteggiamento verso lo studio, gli altri e la vita: l’umiltà.

Ne è passato di tempo da allora.
Si sono diplomati a pieni voti al Conservatorio “A. Pedrollo” di Vicenza, dove li ho conosciuti. Alberto in clarinetto, Leonardo in flauto.
Attualmente studiano composizione al Conservatorio “C. Pollini” di Padova, sotto la guida del M° G. Bonato.
Tra pochi giorni conseguiranno la laurea in Musicologia all’Università degli Studi di Padova. Leonardo discuterà una tesi su Salvatore Sciarrino, Alberto su Luciano Berio.

E i prestigiosi premi nazionali e internazionali vinti? E le Masterclass frequentate previa scrupolosa selezione? E le numerose composizioni pubblicate ed eseguite in prime mondiali?
Non solo tanto studio. Anche tante conquiste. 
La dura legge della musica colta, involuta in se stessa e in un esperto pubblico di nicchia, molto spesso sbarra le porte all'innovazione, al gusto contemporaneo dei giovani musicisti odierni.
Alberto e Leonardo stanno cercando di sfondarle queste porte, senza presunzione, senza arroganza ma con grande talento e umiltà.
Due veri fuoriCLASSic.

Ascoltate “Le sette parole di Gesù in croce” per coro misto, composto da Leonardo ed eseguito ai piedi della Sacra Sindone a Torino nella primavera di quest’anno.

Ascoltate “In Christe” for solo cello, composto da Alberto ed eseguito lo scorso 3 ottobre a Louvain-La-Neuve (Belgio).

Ne riparleremo con loro dopo il 20 ottobre, quando li dovremo chiamare “dottori”, oltre che “maestri”.


martedì 12 ottobre 2010

Un "Alien" di nome Giovanni

Milano - 30 ottobre 2007, ore 18,25.  
Mi telefona la Fede: “Lisa, dove sei? Io e la Vale stiamo andando alla Feltrinelli. Alle sei e mezza c’è Allevi che presenta il nuovo cd. Vieni?”. Belle amiche, sapevano benissimo che ero appena uscita dal Conservatorio dopo un’intensa lezione di pianoforte e che non sarei riuscita - nemmeno volendo - a raggiungerle…

Milano - 29 febbraio 2008.
È l’ora dei regali. Stralunata per la stanchezza ma soddisfatta per la meta raggiunta. Un papiro che ripercorre le tappe della mia storia “pianistica”, un prezioso mini pianoforte in swarovsky, un copri-tastiera in pelliccia leopardata, la raccolta dei Notturni di Chopin con dedica della mia storica insegnante di piano… il cd “Allevi Live” uscito pochi mesi prima, un biglietto-comitiva per il suo concerto… il suo autografo personalizzato fatto per me alla Feltrinelli… belle amiche, veramente belle!

Milano, Teatro Smeraldo - 10 marzo 2008.
Semplicemente emozionante.
Ne avevo già parlato con le mie amiche. “Un genio”.
Ne avevo già parlato con i miei compagni di conservatorio. “Un invasato”.
Ne avevo già parlato con alcuni maestri di musica. “Non durerà tanto”.
Aldilà di tutte le critiche, le discussioni, gli orgogli feriti. Aldilà della diatriba musica classica sì, musica classica no. Il suo è un genere diverso, ibrido (un po’ pop un po’ jazz), che piace ad un vasto pubblico. E lui sa come conquistarlo. Con le sue melodie immediatamente riconoscibili, le sue battute sul palco, i suoi ricci indomabili, i suoi aneddoti biografici. Strano per un pianista. Ma semplicemente emozionante. Punto.

Italia, Giappone, Stati Uniti - 28 settembre 2010.
Esce il suo nuovo album, "Alien", che lo stesso Giovanni definisce “il disco più dolce, impetuoso e passionale che sia mai uscito dalle mie dita. Ho lasciato che la musica fluisse senza alcuna limitazione, verso una costruzione complessa, dove la tecnica compositiva è sempre al servizio dell’espressività. La creazione musicale mi porta in luoghi talmente lontani dalla quotidianità, astratti e al tempo stesso emotivi, che ogni volta mi ritrovo a guardare il mondo con occhi nuovi, tanto da sentirmi un alieno circondato da alieni. “Alien” è un lavoro sperimentale, dove la ricerca musicale è tesa verso la dilatazione delle forme e il raggiungimento di una purezza maniacale del suono, volti ad esaltare le sonorità e i ritmi della contemporaneità”.
In realtà non ci sono grosse novità tecnico-stilistiche, bensì melodie che “alienamente” si insedieranno presto nella mente dei fan, vecchi e nuovi.
Desideravo da tempo sentirlo interpretare un brano “non suo”. E stavolta sono stata accontentata. Nella versione deluxe del nuovo disco, Giovanni suona il Notturno Op. 27 n°2 di Chopin. Un’interpretazione “alleviana” appunto: un tocco leggero e brillante, una conduzione delle frasi molto libera, una dilatata gamma sonora, usata più per sorprendere che per esprimere.
Forse bastano le sue parole per capire il fenomeno che è diventato: “Stiamo tornando nel Rinascimento italiano, dove l’artista deve essere un po’ filosofo, un po’ inventore, un po’ folle, deve uscire dalla torre d’avorio e avvicinarsi al sentire comune.”

Un consiglio a Giovanni: non dire più che la tua è “musica classica contemporanea”.
Così tutti ti ameranno di più. O ne parleranno di meno?

Grazie di cuore alla "compa del college": Fede F., Vale, Fede O., Roby, Stefy, Francy, Giulia, Ale, Marta, Lucy.

 

domenica 10 ottobre 2010

Il profeta della musica mediatizzata. Lo avevate riconosciuto?

Parola d’ordine: perfezione. Non raggiungibile davanti ad una platea in ascolto, ma solamente attraverso calcolate operazioni di montaggio.
Glenn Gould ne era convinto, tanto da decidere di abbandonare il palco - all’apice del successo - a soli trentuno anni.
   
Nato a Toronto nel 1932, studiò pianoforte dapprima con la madre e successivamente al Conservatorio della sua città natale, dove - ancora giovanissimo - riportò i più alti voti mai conseguiti in Canada.

Non amava suonare. Amava interpretare. “A volte mi domando perché ci preoccupiamo così tanto di una pretesa fedeltà alla tradizione della generazione del compositore piuttosto che a quella dell'interprete”.
Ecco la sua rivoluzione copernicana: non è il tempo dell’autore a dettare le regole del gioco, ma il tempo dell’esecutore.

Non amava l’aria respirata nei teatri. Amava quella delle sale d’incisione e degli studi radiotelevisivi. Inseguiva quindi quella perfezione tanto ambita mediante quello che potrebbe sembrare il più sleale dei mezzi, il refugium peccatorum dei mediocri: il montaggio. Glenn Gould però lo considerava una “forma d’arte autonoma” che aveva un grande vantaggio sul concerto dal vivo: quello di offrire sia all’interprete che all’ascoltatore l’esecuzione musicale ideale. Racconta il suo produttore Thomas Frost che “egli pretendeva di suonare e di registrare solamente se erano date le condizioni a suo avviso ottimali: soltanto con il suo pianoforte e soltanto - escluse naturalmente le incisioni con orchestra - quando si sentiva spiritualmente pronto a interpretare qualcosa per il proprio piacere”.
Ecco l’essenza della sua profezia: “la tecnologia non dovrebbe esser trattata come qualcosa di neutro, come una sorta di voyeur passivo; le sue capacità di “scorticamento”, d’analisi e soprattutto di idealizzare un’impressione data devono essere sfruttate [...] Ho fede nell’intrusione della tecnologia giacché, per essenza, tale intrusione impone all'arte una dimensione morale che trascenda l’idea d’arte stessa”.

La sua morte, avvenuta nel 1982, ha dato i natali al suo mito: le opere omnia, le ristampe, i film, le interviste, gli scritti, i libri, le società postume addette a soddisfare il feticismo delle schiere di adoratori, sono un’industria che non sembra conoscere crisi.

“E' abbastanza raro che un pianista diventi un’icona come James Dean. Glenn Gould ci è riuscito.”




Per ascoltare la colonna sonora della discussione della mia tesi di laurea: Glenn Gould suona le Variazioni Goldberg di Bach .
Per conoscerlo meglio: Glenn Gould - sito ufficiale .
Per amarlo.

venerdì 8 ottobre 2010

Sarah & Sarah – “Meglio un’overdose a teatro che nella vita”

Ian stupra Cate in una lussuosa camera d’albergo.
Una bomba squarcia l’edificio.
Un Soldato irrompe nella stanza, stupra Ian e gli cava gli occhi. Poi si ammazza.
Cate seppellisce una bambina morta.
Ian la trova e la mangia.
Ian chiede a Cate di ammazzarlo. Ma lei ha pietà di lui.

Ottobre 2008. Bisbigli tramutati in vociami indignati. La buia sala del Teatro dell’Elfo di Milano trasformata in una fornace di esplosioni emotive. Eppure io e i miei compagni d’università sapevamo cosa ci avrebbe aspettato, grazie alle intense lezioni tenute dal nostro docente di teatro Elio De Capitani, nonché regista di “Blasted” (Dannati) di Sarah Kane. Drammaturga inglese fortemente criticata al suo esordio nel 1995, accusata di scrivere e di mettere in scena violenza e brutalità gratuite, un “teatro di schifezze”.
“Abbiamo bisogno di vedere le cose che già sappiamo che succedono, ma di vederle presentate in modo diverso, e ne abbiamo bisogno per riuscire a capirle”. Con queste parole Sarah si riferiva alla metafora del seme e dell’albero: violenza privata - lo stupro - genera violenza pubblica - la guerra.
A 28 anni, il 20 febbraio 1999, fu trovata impiccata coi lacci delle scarpe nel bagno del King’s College Hospital di Londra (lì ricoverata da tre giorni a seguito di un altro gesto autolesionistico) con duecento pasticche tra sonniferi e calmanti in corpo.

Michele stupra Sarah, dopo averla strangolata e denudata.
La getta in un profondo pozzo e la ricopre di pietre.
Il suo corpo giace per 40 giorni immerso nell'acqua, in posizione fetale: è ormai irriconoscibile.
Aveva solo 15 anni.

Ottobre 2010. L’Italia intera urla indignata.
Non è a teatro. E’ nella campagna di Avetrana, nelle piazze, sui giornali, in tv…
Avrà pietà di lui?

mercoledì 6 ottobre 2010

Lo avete riconosciuto?

Una rustica sedia al posto di un classico sgabello.
Le gambe accavallate, la schiena ricurva, il viso che sfiora la tastiera.
Sempre lo stesso pianoforte: uno Steinway CD 318.

Interprete sconveniente ed eccentrico secondo gli accademici;
creativo e brillante secondo il pubblico.
Non aveva paura dell’errore, ma il terrore dell’imperfezione.

Artista fortemente discusso, ma mai dimenticato.
Il FuoriCLASSic a cui è dedicata la mia prima tesi di laurea.
Se lo riconoscerete, vi racconterò la sua storia.

martedì 5 ottobre 2010

Una fuoriCLASSic autoprodotta

Genuinamente “fatte in casa” sono tutte le sue canzoni, i suoi arrangiamenti, le sue colonne sonore, il suo album d’esordio I’m changing e l’attuale My secret place.
Lei è Margherita Pirri, cantautrice 25enne milanese dal sapore deliziosamente variegato: pop, acustico, folk.
Comincia a comporre le sue prime canzoni a 16 anni - al pianoforte, alla chitarra, in inglese, francese, italiano - trovando ispirazione nel cantautorato americano degli anni Settanta.
Affascinata dal mondo della musica colta, studia anche canto lirico, scoprendo pian piano una dinamicità e un’estensione vocale dolcemente malleabili.
Frequentavamo lo stesso corso di laurea specialistica a Milano quando il professore di Studi mediologici e culturali - informatosi sulla nostra passione artistica - ci chiese di tenere a due voci una lezione di Storia della musica ai nostri compagni. Curiosamente lei si occupò delle origini fino al periodo classico, mentre io dei compositori romantici e contemporanei. La conoscevo già da mesi ma in quell’occasione scoprii il motore del suo talento: l’autoproduzione di conoscenze extradidattiche, di competenze apprese sul campo, di esperienze fortemente volute e cercate, che attualmente la stanno portando lontano.
Finalista di prestigiosi premi, dal settembre del 2008 cominciano i passaggi in radio: da RadioCoop a Radio3, da RadioLuiss a Radio1.
Oggi, la sua “The clock” è la prima degli undici brani inediti - di altrettanti artisti emergenti selezionati tra gli oltre 1000 in lizza - ascoltabili sulla compilation LiveMi Vol.7, in vendita online su iTunes.

Una sera di maggio di quest’anno, con l’autoradio sornione a farmi compagnia, ho casualmente sentito la sua voce: live su Demo - Radio1. 

Il resto ce lo faremo raccontare da lei.

lunedì 4 ottobre 2010

Fuori dalla solita mediocrità

Appunti di un pomeriggio romano.

Qual è il tuo valore?
Qual è il tuo prezzo?
Se il prezzo è dato dall’incrocio tra domanda e offerta, perché qualcuno dovrebbe essere disposto a pagare per averti? E tu, in cambio, cosa sei in grado di offrirgli?
Un diploma? Due lauree? Un master? Un concorso?
I trofei non bastano.
Creare. Demolire status anonimi, costruire pregiudizi positivi.

Si lavora, ma niente in cambio. Ne siamo proprio sicuri?

Non ho tempo. Falso.
Non ce la faccio. Falso.
Non sono portato. Falso.
Ho paura di sbagliare. Vero.
Forse è tempo di cominciare.

Andare al ristorante e leggere solamente la colonna di sinistra del menù. Libertà?

“Avrei bisogno di lei.”
“Sa, sono molto impegnato. Lei quanto offre?”